Pensare, copiare

«Il più grande libro di scrittura non creativa è già stato scritto. Da 1927 al 1940, Walter Benjamin ha sintetizzato molte delle idee su cui aveva lavorato nel corso della sua carriera in un’opera intitolata I «passages» di Parigi. Molti credono che non si tratti d’altro di centinaia e centinaia di pagine piene di note, una pila di frammenti e di bozze, in vista di un’opera di pensiero mai realizzata. Ma altri sostengono che si tratta di una rivoluzionaria opera di circa mille pagine, basata sull’appropriazione e sulla citazione, così radicale nella sua forma non digerita che è impossibile pensare a un’altra opera nella storia della letteratura che abbia lo stesso approccio. È uno sforzo enorme: la maggior parte di ciò che è contenuto nel libro non è stata scritta da Benjamin, che ha invece copiato testi scritti da altri, presi da mucchi di libri conservati nelle biblioteche, con alcuni passaggi che durano diverse pagine. Restano comunque le convenzioni: ogni estratto è citato correttamente e la “voce” di Benjamin si inserisce brillantemente con commenti e postille a ciò che ha copiato»1.

Dunque, I «passages» di Parigi sono un grande collage di testi giustapposti, parole e pensieri di cui l’autore si è appropriato, sottraendoli dal loro contesto, per immetterli dentro una nuova cornice discorsiva, in un certo senso si può dire che Benjamin fa dire ad altri le cose che desidera, a volte sovvertendone il senso – trasforma un orinatoio in una fontana.

Benjamin era perfettamente consapevole della natura della propria operazione – cioè produrre pensiero originale attraverso l’appropriazione, la trasformazione, il ready-made – in una nota ai «passages» scrive: «Metodo di questo lavoro: montaggio letterario. Non ho nulla da dire. Solo da mostrare. Non sottrarrò nulla di prezioso e non mi approprierò di alcuna espressione ingegnosa. Stracci e rifiuti, invece, ma non per farne l’inventario, bensì per rendere loro giustizia nell’unico mondo possibile: usandoli». E ancora: «Questo lavoro deve sviluppare al massimo grado l’arte di citare senza virgolette. La sua teoria è intimamente connessa a quella del montaggio»2.

Continua Goldsmith: «Benjamin non fa alcun tentativo di unificare [i propri materiali], se non quello di  organizzare liberamente le sue citazioni per categorie. […] Invece di ammirare la capacità di sintesi dell’autore, siamo portati a riflettere sulla squisita qualità delle scelte di Benjamin, sul suo gusto. È ciò che sceglie di copiare che rende questo lavoro un’opera riuscita. […] Per tanti versi, il modo in cui leggiamo i «passages» parla del modo in cui abbiamo imparato a usare il Web: viaggiando da un luogo all’altro dell’ipertesto, navigando attraverso la sua immensità; parla di come siamo diventati dei flaneur virtuali, surfando in modo casuale; di come abbiamo imparato a gestire e a raccogliere le informazioni, senza sentire la necessità di leggere il Web in modo lineare, e così via»3.

Assumiamo quotidianamente contenuti disseminati in miliardi di pagine digitali scollegate tra loro e li organizziamo secondo il nostro personale palinsesto, non si tratta semplicemente di una pratica dovuta a una specifica contingenza è, invece, un modello di pensiero che la cultura occidentale sperimenta da un centinaio d’anni, e in modi sempre diversi, il web non ne è che la versione più tecnologicamente aggiornata.

La scrittura filosofica di Benjamin, che si fonda su una pratica di raffinatissimo prelievo e montaggio di materiali differenti, è molto simile tanta poesia surrealista che negli stessi anni sperimentava nuove forme letterarie, disarticolando la struttura linguistica con montaggi, ritagli, giochi; e collezioni, raccolte, antologie.

Ad esempio, nel 1939 André Breton, per metter a fuoco un concetto centrale ma nebuloso del Surrealismo, quello di humor nero – non un genere letterario preciso ma una maniera di concepire la scrittura come emanazione, esplosione, provocazione, irrisione, rovesciamento – ha costruito un’antologia raccogliendo decine di testi, stralci, frammenti, citazioni per comporre un grande mosaico (un collage, un merzbau) di voci differenti, a volte antitetiche ma comunque convergenti, assonanti.

L’Antologia dello Humor nero di Breton è un altro grande esempio di pensiero prodotto attraverso la collezione e il montaggio: «Abbiamo a che fare – scrive Breton – con un soggetto scottante, avanziamo su un terreno infuocato, abbiamo di volta in volta il vento della passione favorevole o contrario, dal momento in cui pensiamo di sollevare il velo sul quell’humor di cui riusciamo tuttavia, con immensa soddisfazione, a individuare i prodotti evidenti nella letteratura, nell’arte, nella vita»4.

L’Antologia quindi disegna una figura dai contorni imprecisi ma “scottanti” che si producono non tanto nell’analisi di un testo isolato quanto nel rapporto che questo riesce a instaurare con gli altri testi della stessa scottante natura, il “senso” è dunque una questione di relazioni tra gli oggetti – un meccanismo intertestuale, direbbe Stoichita. In altre parole, Breton, come Benjamin – e come Schwitters all’opera nel suo Merzbau – ha costruito una storia della letteratura seguendo un processo non lineare e narrativo ma  aggregando materiali differenti in maniera rizomatica. L’antologia così concepita forma un’immagine in cui i significati si dispongono in modo fluido, aperto, in cui i concetti nascono grazie a imprevedibili accostamenti e collisioni.

Questa figura, Walter Benjamin, la chiamerebbe costellazione: «La prima cosa di questo cammino sarà assumere il principio del montaggio nella storia. Erigere, insomma, le grandi costruzioni sulla base di minuscoli elementi costruttivi ritagliati con nettezza e precisione. Scoprire, anzi, nell’analisi del piccolo momento particolare il cristallo dell’accadere totale. Rompere, dunque, con il volgare naturalismo storico. Cogliere la costruzione della storia in quanto tale nella struttura del commentario. […] Non è che il passato getti la sua luce sul presente o il presente la sua luce sul passato, ma immagine è ciò in cui quel che è stato si unisce fulmineamente con l’adesso in una costellazione. In altre parole: immagine è la dialettica in posizione di arresto»5.

[N]

1 Goldsmith, Kenneth, CTRL+C CTRL+V (scrittura non creativa). Traduzione di Valerio Mannucci. Nero, Roma, 2019. p. 129

2 Benjamin, Walter Benjamin, I «passages» di Parigi. Edizione italiana a cura di Enrico Ganni. Einaudi, Torino 2000 e 2010. p. 514, p. 512

3 Goldsmith, cit. p. 133, p. 136

4 André Breton, Antologia dello Humor nero. A cura di Mariella Rossetti e Ippolito Simonis. Einaudi, Torino, 1970. p. 10

5 Benjamin, cit. p. 116

Lascia un commento