POV

Qualche passo estratto da un blog rivolto ai genitori, in cui si cerca di spiegare in modo semplice le cose, a volte incomprensibili, che i giovanissimi fanno o guardano sui social: «Come intuibile, POV è un acronimo. La versione estesa è infatti Point of View, “punto di vista”, dunque un concetto piuttosto semplice e banale, che però sui social ha assunto un significato ben preciso. All’interno del mondo social, in particolare Instagram e Tik Tok i POV sono dei video – spesso contrassegnati dall’hashtag #pov – in cui si imitano personaggi famosi o categorie stereotipate di persone esagerandone gesti, atteggiamenti e discorsi in chiave ironica, sfruttando la ripresa in prima persona per simulare lo sguardo dello spettatore, il quale viene così invitato ad assumere il punto di vista suggerito dalla didascalia». Computer magazine aggiunge: «Solitamente la dicitura si trova sotto commenti abbastanza ironici, dai tratti esagerati, gonfiati per far parlare e ridere chi se li ritrova davanti. Ma se vogliamo cercare un significato più profondo, possiamo dire che POV è una sorta di grido ad avere una propria opinione, in un campo dove averne una molto spesso ci manda alla gogna».

Quindi, sintetizzando, fare un POV significa, prima di tutto, assumere un punto di vista per sovvertirlo; irridere e destrutturare una forma sociale o un atteggiamento con l’umorismo e, attraverso quest’opera di riassestamento giocoso del senso comune, liberare spazio per l’espressione non condizionata delle proprie opinioni. Sintetizzando ulteriormente: l’umorismo è lo strumento per la sovversione e la liberazione. Siamo ancora in casa dei surrealisti.

Ma perché lo humor era centrale nell’estetica surrealista? Rispondiamo citando Gilles Deleuze: «Ma a che servirebbe la legge morale, se essa non santificasse la reiterazione, e soprattutto se non la rendesse possibile, conferendoci un potere legislativo da cui ci esclude la legge di natura? […] L’uomo di dovere ha inventato una “prova” della ripetizione, ha determinato ciò che poteva essere ripetuto dal punto di vista del diritto.[…] La prima maniera di rovesciare la legge è ironica, e l’ironia vi appare come un’arte dei princìpi, del ritorno verso i princìpi e del rovesciamento dei princìpi. La seconda è lo humor, che è un’arte delle conseguenze, delle discese, delle sospensioni e delle cadute»1.

Dunque: la singolarità contro la generalità che fa la legge, legge che si produce nella reiterazione; la singolarità si crea rompendo con la legge, rovesciando, trasgredendo e facendosi beffe della legge e, quando questa ci dice di vedere un oggetto, una forma, una prassi non vedere quell’oggetto, quella forma, quella prassi ma, al contrario, qualcosa di imprevisto e non omologato; qualcosa che irrompe e sospende. Secondo Deleuze lo humor è un’arte delle conseguenze impreviste derivanti da uno spostamento di sguardo, di pensiero (come il ready-made che è ugualmente un’arte delle conseguenze inattese derivanti da un cambio di designazione e di luogo, da una sospensione di identità).

Non a caso, lo humor è stato lo strumento prediletto dai dadaisti e da Duchamp in particolare. Attraverso lo humor Duchamp rovesciava le convenzioni e metteva sotto una diversa luce le icone consacrate dall’abitudine e dalla tradizione (un esempio per tutti, la Gioconda baffuta), quelle icone che ormai non ci è dato di vedere con uno sguardo personale e non omologato dal gusto socialmente accettato. Nella storia dell’arte d’avanguardia lo humor – come pensiero e come pratica – appare raramente, era sconosciuto ai facinorosi e pomposi futuristi (eccetto che all’eccentrico Palazzeschi); sconosciuto anche ai cerebrali pittori cubisti; impossibile da coltivare nell’idealismo pragmatico del Bauhaus o del De Stjl; estraneo al vitalismo sofferto e romantico degli espressionisti. Lo humor era invece una parte essenziale della vita artistica dei dadaisti e diventerà centrale nella teoria e nella pratica dei surrealisti. Così testimonia Hans Richter: «Superiori alla folla dei filistei, perché forti della nostra capacità di vedere la realtà sia dall’esterno che dall’interno… ridevamo di cuore. Distruggevamo, maltrattavamo e schernivamo… – e ridevamo. Ridevamo di tutto. Ridevamo di noi stessi, come dell’imperatore, del re e della patria, delle pance piene di birra e dei poppatoi. Per noi ridere era una cosa seria; soltanto il riso poteva garantirci quella serietà con la quale conducevamo la nostra lotta contro l’arte e verso quella meta che era la scoperta di noi stessi. Ma la risata era soltanto l’espressione della nuova maniera di vivere non ne costituiva il contenuto e il fine. Confusione, distruzione, anarchia, opposizione, – perché avremmo dovuto rinunciarvi?»2.

Tutta l’estetica surrealista consiste nella sovversione dei “punti di vista” e nell’acquisizione di uno sguardo strabico, dissociato, rovesciato, con una predilezione per il paradosso e il grottesco; una predilezione che ritroviamo intatta e freschissima, sebbene inconsapevole, in molte strane attività che milioni di utenti praticano quotidianamente on-line. 

[N]

1 Deleuze, Gilles, Differenza e ripetizione. A cura di Giuseppe Guglielmi. Cortina, Milano, 1997. pp. 11-12

2 Hans Richter, Dada arte e antiarte. Mazzotta, Milano, 1966. pp. 78-79

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