Vedere, guardare

«Gli occhi forniscono frammenti di informazioni visive alla corteccia cerebrale posta nella parte posteriore del cranio e deduciamo il resto dalla nostra esperienza visiva. Impariamo a completare il mosaico grazie a ciò che abbiamo già visto. Difatti, come descritto dallo scienziato David Eagleman, la quantità di informazioni proveniente dalla corteccia visiva è dieci volte maggiore rispetto a quella da essa captata. Non colmiamo semplicemente le lacune; ricostruiamo gran parte del quadro delle informazioni. Non siamo soltanto ricettori, ma anche proiettori. Vediamo mediante la conoscenza»1.

Lo sguardo è sempre situato, se tutti vediamo il nostro guardare è differente per ognuno, poiché è situato nelle esperienze, nella cultura, nel genere; e anche nei desideri, nelle aspettative, nelle abitudini; e si forma ogni volta nuovo poiché noi siamo ogni giorno diversi, come singoli e come gruppi. In effetti, possiamo dire che ricreiamo quotidianamente il mondo che stiamo osservando, noi scegliamo (anche inconsapevolmente) come e cosa guardiamo, il nostro sguardo è situato e anche selettivo. Rivolgere lo sguardo a qualcosa significa scoprirla.

Walter Benjamin, riflettendo sulle mutate condizioni visuali dell’epoca moderna negli anni Venti scriveva: «Nel giro di lunghi periodi storici, insieme con i modi complessivi di esistenza delle collettività umane, si modificano anche i modi e i generi della loro percezione. Il modo secondo cui si organizza la percezione umana – il medium in cui essa ha luogo –, non è condizionato soltanto in senso naturale, ma anche storico. L’epoca delle invasioni barbariche, durante la quale sorgono l’industria artistica tardo-romana e la “Genesi di Vienna”, possedeva non soltanto un’arte diversa da quella antica, ma anche un’altra percezione»2.

La storia dell’arte del Novecento è soprattutto la storia del tentativo di portare allo scoperto questa dimensione che potremmo definire avventurosa dello sguardo. Nel 1917 Marcel Duchamp guardando un orinatoio ha visto una fontana, questo atto semplice – rivolgere lo sguardo a un oggetto banale e così conosciuto da risultare quasi invisibile – è dunque un atto eminentemente creativo perché l’artista ha ricreato l’oggetto captato dagli occhi integrandolo in modo del tutto nuovo alle informazioni già presenti nella sua corteccia cerebrale, cioè nella sua esperienza e cultura. Lo sguardo creativo è quindi quello sguardo che non dà il mondo per scontato ma che lo scopre incessantemente e incessantemente lo rinnova.

[N]

1 Mark Cousins, Storia dello sguardo. Traduzione di B. Alessandro D’Onofrio. Il Saggiatore, Milano, 2018. p. 47

2 Walter Benjamin, Derealizzazione fotografica e chance politica. Traduzione di Enrico Filippini e Hellmut Riediger. In Filosofia della fotografia. A cura di Maurizio Guerri e Francesco Parisi. Cortina, Milano, 2013. p. 122

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