Writing e street

Se i graffiti (o writing) si sviluppano seguendo una dimensione ornamentale, la street art, nata a partire dagli anni Novanta, si fonda su un immaginario di derivazione fumettistica e visionaria di chiara matrice surrealista (e quindi, ancora, dadaista). Le immagini della street art si producono quasi sempre attraverso il meccanismo del perturbante: «il familiare che si ripresenta sotto nuove vesti e in un altro contesto come non-familiare, come insieme noto ma portatore di ignoto»1. Nella street art le immagini che conosciamo e diamo per acquisite subiscono sabotaggi, torsioni e modificazioni logiche e sintattiche, sono sottoposte a giochi di inversione e sfasamento. Il lavoro di Banksy è di una chiarezza esemplare, ogni immagine prodotta dall’artista inglese sovverte le immagini e il nostro modo abituale di recepirle e può essere considerato come una versione molto aggiornata della Gioconda baffuta o di un ready-made di Duchamp, in cui l’immagine e il suo contenuto o l’oggetto e la sua funzione vengono disgiunti; la separazione produce delle immagini o degli oggetti ambigui e quindi perturbanti.

Il dialogo della street art con il fumetto avviene anche sul piano della lotta controculturale: da sempre considerato una forma minore, un sub-linguaggio  irrazionale destinato alle classi popolari o ai bambini, non portatore di valori estetici o linguistici (simile in questo all’ornamento) il fumetto ha prodotto nel Novecento un proprio specifico immaginario. Una marginalizzazione rispetto al discorso culturale che gli ha permesso di muoversi al di fuori o al di sotto delle censure del potere e del controllo accademico che hanno condizionato altri linguaggi. Non a caso, dagli anni Sessanta, con l’esplosione dei movimenti antagonisti, il fumetto – con altre forme minori e popolari come la musica rock, la letteratura di fantascienza, il cinema horror – è stato il veicolo di innovativi e radicali contenuti contro-culturali. Non diversamente oggi, sebbene al fumetto come linguaggio venga riconosciuta la complessità che gli è propria e quindi una certa dignità (anche se questa non viene riconosciuta ai suoi fruitori considerati sub-lettori, né alla maggior parte dei suoi autori) il fumetto è oggi un territorio espressivo che si estende ai margini dell’ambiente culturale e in questi margini lambisce la contro-cultura della street art. Il linguaggio fortemente iconico e grafico del fumetto si presta perfettamente a essere declinato nelle strade, la sua struttura fondamentalmente narrativa può essere trasferita nei grandi contesti urbani per raccontare storie erratiche e difformi, visionarie e perturbanti.

Ma la street art opera con le immagini rielaborando anche un altro grande portato della cultura artistica del Novecento, grazie cioè all’utilizzo di tattiche creative improntate al bricolage. Arrangiarsi con quello che si ha: adattandosi all’ambiente in cui è possibile operare riutilizzando ciò che si possiede, trasformando gli oggetti e gli strumenti che si hanno a disposizione – siano colori o nastri adesivi, muschio o pezzi di stoffa, stickers o lana lavorata all’uncinetto. Far nascere l’immagine dal contesto affidandosi a pratiche rizomatiche, aperte e abduttive e non calarla dall’altro seguendo strategie premeditate. Muoversi in tutte le direzioni, tastando tutte le possibili connessioni senza un progetto, come faceva Kurt Schwitters all’opera nel suo Merzbau che, incollando ogni sorta di oggetto senza uno progetto, e forse senza anche uno scopo preciso, produceva pensiero stando dentro alle cose.

[N]

1 Grazioli,  Arte e pubblicità. Bruno Mondadori, Milano, 2001. p. 96

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