Controcultura

A partire dall’inizio degli anni Ottanta nasce un forte interesse per la cosiddetta cultura popolare, fino ad allora considerata come non portatrice di valori estetici o filosofici, un cambiamento in cui prendono piede quelli che vengono comunemente chiamati Cultural Studies. Di che si tratta?

Una serie di studiosi (Stuart Hall, per fare un nome1) rileggono i fenomeni culturali popolari – fumetti, musica rap o pop, romanzi rosa, film horror, ecc. – evidenziandone il valore e interpretandoli come forme di resistenza alla cultura accademica e dominante. La cultura popolare viene intesa quindi come un luogo in cui il cittadino occidentale utilizza, libero da controlli e in modo quasi carbonaro (o dadaista), ciò che gli viene imposto per il consumo. Gli studi culturali cercano di portare alla luce ciò che accade nello spazio che separa l’utilizzo di un oggetto pensato dal suo produttore in fase di progetto e il reale impiego che ne fa il consumatore. Sappiamo infatti, perché lo abbiamo imparato da Duchamp, che tra un oggetto (un orinatoio, ad esempio) e l’utilizzo che se ne può fare (esporlo in un museo come opera d’arte) si può aprire uno spazio che produce incontrollati percorsi di senso. Così anche il consumatore utilizzando i prodotti che consuma – siano un libro, uno spettacolo televisivo, del caffè – opera delle trasformazioni, delle vere e proprie ricreazioni. La cultura popolare produce i propri miti e il proprio valore esattamente nello spazio non sorvegliato che si apre tra utilizzo e consumo.

È ciò che accade nel vasto mondo del cosiddetto underground, mai compreso chiaramente dalla cultura accademica, un mondo in cui i segni, gli oggetti, le mode subiscono torsioni e trasformazioni, in cui il linguaggio pubblico e socialmente condiviso viene costantemente tradotto in tanti idiomi locali, attraverso delle tattiche di decostruzione e  montaggio. 

Il filosofo Michel de Certeau con il libro L’invenzione del quotidiano – pubblicato alle soglie degli anni Ottanta e diventato un testo chiave per la comprensione di questi fenomeni – chiarisce la dinamica di questi aspetti: «de Certeau suggerisce l’idea di un ribaltamento dell’osservazione dall’altra parte, in mezzo alla “gente” (lui la chiama proprio così). […] Il messaggio era semplice: chi non fa parte dei poteri costituiti (economici, mediali, religiosi, politici…) può solo rispondere con mosse tattiche, episodiche e pratiche. Ecco perché non ci sono teorici nei sottoscala del pianeta [della cultura]»2. (Branzaglia, Marginali. p. 7)

[N]

1 Stuart Hall in Italia è stato poco tradotto e l’argomento non si esaurisce nella pur importante attività dello studioso americano, si può fare un’ampia ricognizione sull’argomento visitando il sito studiculturali.it.

2 Carlo Branzaglia, Marginali. Iconografie delle culture alternative. Castelvecchi, Roma, 2004. p. 7

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